di Redazione
Se avete sempre seguito le indagini de “Le Iene”, in tv (su Italia 1) e sul sito iene.it, saprete sicuramente che in più occasioni si sono
occupati della strage di Erba.
Il 10 agosto, su La Stampa, Gianluigi Nuzzi ha scritto un articolo che metteva in fila tutte le risapute argomentazioni a sostegno della colpevolezza di Rosa Bazzi e Olindo
Romano. "Le Iene", ultimi arrivati sull’argomento, in due anni di inchiesta ha raccolto delle evidenze che possono mettere in dubbio la colpevolezza dei coniugi, anche se validata da 26 giudici e
3 gradi di giudizio. La redazione ha quindi proposto a La Stampa una replica punto per punto all’articolo di Nuzzi, entrando nel merito di ogni singola questione, a firma di Antonino
Monteleone.
La Stampa ha deciso di non pubblicarla, cosa legittima ma emblematica. Non è la prima volta che le ragioni della difesa dei coniugi non trovano spazio sui media nazionali. Questo atteggiamento
poteva essere comprensibile a ridosso della strage, quando ancora di tanta parte delle indagini nulla si sapeva. Oggi, alla luce delle molte e molte evidenze, stranezze, omissioni, distorsioni,
errori, sembra davvero incomprensibile come qualcuno continui a dare le spalle ai fatti. Senza arrivare a parlare di censura, esiste un dovere, oltre che un diritto di cronaca.
Qui di seguito la lettera di Antonino Monteleone, in risposta all’articolo di Gianluigi Nuzzi, che La stampa ha deciso di non pubblicare.
Gentile Direttore,
lo scorso 10 agosto il suo giornale ha ospitato un intervento di Gianluigi Nuzzi che spiegava come mai, a quasi quattordici anni dagli eventi e nove dall’ultimo grado di giudizio, in molti
dubitino della colpevolezza di Olindo Romano e Rosa Bazzi.
A ‘Le Iene’ ce ne occupiamo ormai da due anni. Durante i 19 servizi e lo speciale di 180 minuti, abbiamo messo in crisi punto per punto “i baluardi della sentenza definitiva, prove scientifiche e
testimoniali” a favore della colpevolezza dei due e delle quali Nuzzi si ostina a sostenere la solidità. La testimonianza di Mario Frigerio, l’unico superstite alla strage. In aula Frigerio disse
indicando Olindo: “non me la dimenticherò mai quella faccia”. Eppure, dopo la strage, al suo risveglio in ospedale, interrogato dai Carabinieri, puntava il dito contro un uomo “olivastro” (Olindo
è certamente pallido), “più alto di lui di 5/6 cm” (Olindo è più basso di Frigerio), “non del posto”. A domanda se quella persona gli ricordasse un volto noto risponde: “no, se l’avessi visto
l’avrei saputo riconoscere”.
Non solo Frigerio in quei primi colloqui non pensa e non menziona Olindo Romano, ma addirittura, tramite il suo avvocato Manuel Gabrielli, inoltra in procura un fax in cui segnala che la casa di
Azouz e Raffaella era “frequentata da extra-comunitari di etnia araba”, alludendo al fatto che la persona da lui vista potesse essere uno di loro. E allora perché Frigerio cambia ricordo? Nei
servizi de ‘Le Iene’, tre specialisti della memoria in ambito forense (Giuliana Mazzoni, Giuseppe Sartori, Piergiorgio Strata) concordano nel ritenere che il ricordo di Frigerio sia stato
alterato da chi lo ha interrogato, in un modo tale da crearne uno falso. Le confessioni di Rosa e Olindo. Secondo Nuzzi, le confessioni rese dai due sarebbero dettagliatissime e conterrebbero
elementi noti solo agli assassini.
Nuzzi omette di dire che TUTTE le informazioni che emergono nelle confessioni sono in realtà ricavabili dal testo del provvedimento di fermo e dalle foto della strage. Con una mossa ai limiti
delle regole processuali, durante gli interrogatori i magistrati le mostrano ai due indagati, che solo dopo averle viste descrivono la scena del delitto. Gli interrogatori, a volte poi, sono
condotti in modo da imboccare gli indagati: Rosa non è a conoscenza del taglio sopra la coscia di Valeria Cherubini ed è un PM a rivelarglielo quando le chiede se sia stata lei a farlo. Come a
non bastare, le confessioni sono piene di contraddizioni e inesattezze, circa 240 secondo un minuzioso lavoro di verifica realizzato dagli avvocati Schembri e Bordeaux. Così tante che persino i
Giudici d’Appello sono costretti a riconoscerle. La macchia sul battitacco dell’auto. Le indagini dei Carabinieri e dei RIS di Parma non hanno trovato NESSUNA traccia dei due coniugi sulla scena
della strage, né delle vittime a casa loro. La sola e unica connessione ‘biologica’ tra i coniugi e le vittime è la macchia di sangue rinvenuta sul battitacco della loro Seat Arosa. A ‘Le Iene’
abbiamo mostrato cosa pensa di quel rilievo Carlo Fadda, il Carabiniere che l’ha effettuato. È lui stesso ad avere dubbi sull’origine della traccia. Secondo le sue parole potrebbe benissimo
essere una macchia da contaminazione, data dal continuo andirivieni di forze dell’ordine tra la scena del crimine e il cortile.
La traccia inoltre non è visibile nella fotografia scattata da Fadda e allegata agli atti. Lo scontrino del McDonald’s. La sera della strage i coniugi sono stati a Como nel noto fast-food, come
ironizza Nuzzi: “la cenetta dell'hamburger, patatine e carneficina”. Della cena c’è certezza per l’esistenza dello scontrino. Nuzzi ne parla come di una prova messa agli atti “per dar corpo a un
alibi barcollante”, nel tentativo di costruirsene uno posticcio. Ma nessuno che abbia visto lo scontrino (pag. 72, relazione del RIS di Parma) lo può sostenere: accartocciato fino a renderlo
quasi illeggibile viene rinvenuto, non esibito, sbandierato, come fu fatto credere all’epoca, nel processo e dai media. La cena di Rosa e Olindo non era in grado di provare nulla, eppure
all’opinione pubblica è stata spacciata come prova a carico.
Le intercettazioni mancanti e la società fiduciaria. Nella sua ricostruzione Nuzzi dimentica due questioni fondamentali: il pasticcio delle intercettazioni e l’assetto societario di chi le ha
lavorate, dietro incarico della Procura di Como.Mancano all’appello tantissime intercettazioni (file audio), altre sono state trascritte in modo inesatto; tutti gli errori e le lacune riguardano
momenti fondamentali delle indagini enon hanno aiutato Rosa Bazzi e Olindo Romano a difendersi nel processo. La cosa più inquietante è stato scoprire durante l’inchiesta che la società che le ha
lavorate su mandato diretto della Procura, fa capo, in parte, a una fiduciaria con sede in Svizzera. Com’è possibile che un compito così cruciale possa essere stato affidato a una società
schermata che non risponde ai criteri minimi e legali di trasparenza? C’è una legge che lo vieta, proprio a tutela del buon andamento dell’attività giudiziaria. Finora nessuno (anche dopo le
nostre ripetute segnalazioni) ha dato una spiegazione a questa gravissima irregolarità. L’analisi dei nuovi reperti. E non finisce qui: Nuzzi ricostruisce accuratamente l’incredibile vicenda dei
reperti ritrovati sulla scena del crimine, mai analizzati e infine distrutti, nonostante l’ordinanza di due diverse Corti ne imponesse la conservazione, e nonostante l’ok dato dalla Cassazione a
un esame a spese della difesa.
La distruzione illegittima viene poi seguita dal sorprendente ritrovamento, a 12 anni dalla strage, di un nuovo scatolone «contenente cinque plichi di reperti, tra cui una tanica, otto coltelli,
un affilacoltelli, un mazzo di chiavi, un abbonamento e un cellulare». Lo scatolone risulta «aperto senza che vi fosse allegato il verbale di apertura». E qualche mese dopo, cosa ancora più
incredibile e vera, ne viene ritrovato un altro, anch’esso scampato all’illegittima distruzione, contenente indumenti del piccolo Youssef e del super testimone Mario Frigerio. Questa montagna di
irregolarità è definita da Nuzzi “uno sgambetto della giustizia”, a noi invece sembra solo l’ultimo episodio di una catena di eventi catastrofici, dei quali anche il Ministro della Giustizia
Bonafede cerca di venire a capo da ormai tre anni. Siccome eravamo gli ultimi arrivati su questa vicenda, prima di mandare in onda i nostri servizi a ‘Le Iene’, insieme all’autore Marco
Occhipinti ho cercato un confronto telefonico proprio con Gianluigi Nuzzi. Gli chiedemmo se fosse disponibile a un’intervista per spiegare le ragioni di chi crede Rosa e Olindo colpevoli, non
accettò.
A differenza delle solide certezze di cui oggi sembra circondato, ci fece intendere che nella sua trasmissione si coltivava il dubbio. E che quindi gli risultava impossibile schierarsi. Non c’è
più tempo per lasciare la vicenda in balìa delle tifoserie, del derby tra innocentisti e colpevolisti. Messi da parte gli schieramenti, esiste solo chi conosce gli atti e lo svolgimento del
processo e chi si ostina a trascurarli lasciando spazio alle leggende metropolitane sulla ‘Strage di Erba’. È corretto avere riguardo, come fa notare Nuzzi, per la “devastazione” che la strage
infligge alle vittime superstiti. Sono convinto che oltre al dolore di chi ha perso i propri cari, prima o poi tutti dovremo riconoscere il dolore di altre due vittime, condannate ingiustamente
al carcere a vita.
Antonino Monteleone
crediti foto: ufficio stampa